Una Sanità da “sanare”, ispirandosi al passato

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di Giorgio Tigano, Responsabile Sanità MSFT

Argomento, quello della sanità, troppo vasto per affrontarlo globalmente. Una analisi corretta non può prescindere dallo studio dei singoli settori, cosa che affronteremo in seguito.
Ora preme sottolineare le incongruenze dei principi ispiratori della riforma o meglio delle riforme che si sono succedute negli ultimi cinquant’anni con i risultati fallimentari cui assistiamo oggi. Fallimentari perché è innegabile che la quasi totalità dei cittadini italiani si sente tradita riguardo alla attuazione di quelle roboanti norme costituzionali che all’art. 32 sostengono di tutelare il diritto alla salute di tutti e che all’art. 3 sanciscono l’uguaglianza e dignità sociale dei cittadini di fronte alla Legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e di condizioni personali e sociali. È evidente che, come vanno in sanità le cose oggi, già le condizioni sociali e personali, e mi riferisco in particolare alle persone meno abbienti, rappresentano una discriminante per una adeguata assistenza sanitaria. Ma i nostri politici sono andati oltre e, con la montante liberalizzazione e la regionalizzazione dei servizi di cura, la semplice residenza in una regione piuttosto che in un’altra ha comportato una odiosa disparità di trattamento.
La Legge di riforma 833 del 1978 e soprattutto la successiva Legge 502 del 1992, che delegava alle Regioni la gestione della sanità, hanno consentito la trasformazione delle Unità sanitarie Locali in Aziende con modalità operative simili ad attività private, con l’obiettivo del profitto. Tali norme hanno di fatto creato 20 repubbliche sanitarie, stravolgendo la parità di diritti nelle cure e dando il via ad una miriade leggi ed accordi locali che demandavano a politici locali e ai Direttori delle ASL, di nomina politica, la gestione non sempre limpida di un settore così delicato. Per millantare una apparenza di democrazia e uguaglianza si sono poi inventati i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) cioè le prestazioni minime essenziali che tutte le Regioni avrebbero dovuto garantire, consentendo così alle regioni più ricche di incrementare l’offerta di salute a discapito delle regioni più povere. Certo ad ogni cittadino è garantita la libertà di scegliere dove e come farsi curare, ma questo a costo di insopportabili sacrifici personali ed economici imposti dai cosiddetti “viaggi della speranza”. Il tutto poi condito da obblighi derivanti dal rispetto di una miriade di leggi e regolamenti locali incomprensibili. Questa non può essere una sanità giusta e riteniamo che rispetto al passato siano stati fatti passi indietro. Noi della Fiamma, oggi più che mai, siamo convinti della giusta scelta del Movimento Sociale Italiano che nel 1970 si oppose alla Istituzione delle Regioni. Ed ancora riteniamo che fu un errore smantellare l’impalcatura, sia pure da aggiornare, del Testo Unico delle Leggi sanitarie del 1934 che, attraverso le indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità, delegava ai Prefetti delle Provincie, ai Sindaci (allora Podestà) e al Consiglio Provinciale di Sanità l’organizzazione territoriale dei Servizi Sanitari. Una legge, quella del 1934, che stupisce per chiarezza e appropriatezza dei contenuti. Basta rileggerla per rendersi conto di quanto quelle norme rispecchiassero le necessità del popolo italiano. Si è preferito smantellare tutto e optare per il caos, la burocratizzazione della medicina, il clientelismo politico che ha generato enormi sprechi e soprattutto l’isolamento e la disaffezione al lavoro del personale sanitario. I milioni di cittadini che oggi denunciano la difficoltà a curarsi devono sapere il perché di questa inefficienza.
IL Movimento Sociale Fiamma Tricolore non smetterà mai di produrre analisi e proposte alternative e di denunciare agli Italiani l’operato di una classe politica incapace e responsabile di tale fallimento.

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