SANITA’ CALABRESE

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di Gianfranco Turino

La sanità calabrese è, oggi, una situazione insoluta in cerca di un autore che possa farla funzionare con una suonata di primo piano nel concerto sociale della vita dei cittadini. Nei miei pensieri antichi si sciorinano le immagini dei ricordi di un settore che un tempo, bene o male, era funzionante, alla portata del cittadino, con medici che facevano i medici e ospedali che facevano gli ospedali e assistevano la gente che ne aveva bisogno, senza lunghe attese e altrettante lunghe code. Non esisteva la corsa, divenuta quasi obbligatoria, di oggi, alla medicina privata i cui costi sono uno svenamento per il paziente che ha bisogno del consulto o della cura urgente. Le tabelle sono scritte con cifre da capogiro, a cui molti, raramente possono permetterselo, quindi kilometriche liste d’attesa in ospedale o la ricerca, in altre località, per evitare un tracollo finanziario. Nel contempo, qualche personaggio della politica nostrana tenta di far sparire quello che resta delle strutture ospedaliere pubbliche ancora esistenti, togliendo reparti, cancellando funzioni e operando trasferimenti in altre geografie.
E la Calabria suda sangue e rabbia per quello che perde, che non ha più, ma non sa ribellarsi perché preda del politichese senza scrupoli.
Un particolare attimo, su cui desidero soffermarmi, riguarda il Sant’Anna Hospital di Catanzaro, la clinica di cardiologia privata e per un certo periodo convenzionata, famosa in tutto il territorio nazionale; attualmente è alla chiusura con i suoi dipendenti che rischiamo, momento su momento, il posto di lavoro, gente addestrata in anni di attività e di serie applicazioni che ne hanno fatto dei veri professionisti.
Io sono stato un ricoverato del Sant’Anna, direi un miracolato, in quanto mi hanno preso letteralmente per i capelli restituendomi alla vita di tutti i giorni, con un cuore nuovo. Ho la massima riconoscenza per l’intero personale, nessuno escluso, in pratica mi hanno seguito nel cammino di più di un mese per la ripresa ad essere una persona normale e poter tornare a casa.
Un fiore all’occhiello calabro che non dobbiamo far appassire lasciandolo in mano a speculatori d’ogni genere.
Accettare lo stato di fatto creato “causa fondi”, significa, far morire una storia, emblema di una tecnologia all’avanguardia.
Abbiamo le strutture, alcune di queste abbandonate a sé stesse (circa dodici se non di più), lasciate decadere per l’incuria politico-partitica della regione, che non è capace di dare una svolta al settore.
Da anni il tutto, seguito o non seguito, gestito o non gestito, da un commissario la cui dimostrazione di inefficienza l’ha portato alle dimissioni, subito sostituito da un altro, anche questa figura scelta fuori dalla regione, mentre, sarebbe stato meglio dare l’incarico ad un locale capace di comprendere e sondare l’ambiente in cui vive e opera giornalmente.
Come sempre, siamo sedotti dal nome e dal fascino degli altri, dimenticandoci di noi stessi e delle nostre capacità.
Nel dramma Covid 19, la gestione sanitaria è precipita totalmente nell’oscuro buco di un vuoto senza uscita, incapace di rialzare la testa e tentare a ritrovare una strada, ma anche un semplice viottolo, verso la normalità per offrire l’assistenza e il sostegno al collettivo, senza tralasciare le attenzioni ad altre malattie con patologie bisognose di cure, monitoraggio costante e ricoveri.
Invece, il terrore del virus ha tagliato tutti i ponti, con centralini intasati, personale insufficiente, senza risposte da dare all’utenza e super affollamenti in ambienti impossibilitati a contenere tutti.
In questo colossale puzzle la sanità calabra, alza, vergognosamente bandiera di bianca per una resa senza condizioni.
Adesso basta con il pianto silenzioso, con la testa nascosta sotto la cenere, basta con la paura di osare, riprendiamoci la nostra strada e la nostra civiltà di vita.
Ricordiamoci sempre che, l’assistenza sanitaria, è il numero uno dei servizi da offrite al cittadino e non può essere oggetto di mercanteggio o di cessioni a spicchi e bocconi.
Uniti, ce la possiamo fare a rilanciarla e rivalutarla, tracciando un solco diverso d’esistenza non solo per il domani, ma soprattutto per quel che resta dell’oggi.

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