IN RICORDO DI GIUSEPPE MAZZOLA E GRAZIANO GIRALUCCI

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di Salvatore Marotta


“Lunedì 17 giugno 1974 un nucleo armato delle Brigate rosse ha occupato la sede
provinciale dell’MSI di Padova in Zabarella. I due fascisti presenti, avendo
violentemente reagito, sono stati giustiziati”.
Così iniziava il volantino di rivendicazione fatto trovare dai brigatisti a Padova e a
Milano all’indomani del duplice omicidio nella sede missina. Il volantino si concludeva
con le farneticanti parole: “Le sedi del MSI non sono più inviolabili roccaforti nere.
Nessun fascista può più considerarsi sicuro! Nessun crimine fascista resterà impunito.
Portare l’attacco al cuore dello Stato! Lotta armata per il comunismo. Martedì 18
giugno 1974 Brigate rosse”.
“I due fascisti presenti” erano Giuseppe Mazzola, 60 anni, ex carabiniere, e Graziano
Giralucci, 29 anni, agente di commercio con la passione per il rugby. Entrambi sposati
e con figli. Nonostante la rivendicazione, nessuno prende in seria considerazione quel
comunicato: politici e giornalisti non credono alle “fantomatiche” o “sedicenti”
Brigate rosse, come allora venivano definite, e si buttano a capofitto sulla tesi della
“faida interna”. Tesi calunniosa e vergognosa, usata in altre occasioni come il rogo di
Primavalle. Bisognerà aspettare i processi e le confessioni dei brigatisti perché la
verità, chiara sin dall’inizio, fosse tale anche per questa gentaglia. Se politici,
magistrati e “giornalisti” al servizio del sistema fossero stati intellettualmente onesti
riconoscendo in tempo quello che il MSI denunciava da anni, e cioè che si stava
organizzando un partito armato comunista, la stagione nefasta degli anni di piombo
si sarebbe potuta evitare o, almeno, ridimensionare nella sua tragica e lunga scia di
sangue. I brigatisti spiegarono l’irruzione nella sede del MSI per “sequestrare” lo
schedario degli iscritti e presunti documenti che provassero le cosiddette “trame
nere”. Naturalmente, non c’era nessun documento del genere. Si trattò di una brutale
e vigliacca esecuzione con tanto di colpo alla nuca. Vale la pena rileggere l’orazione
funebre di Giorgio Almirante perché si capiscono tante cose: “Nel prendere commiato
da te, Giuseppe Mazzola, e da te, Graziano Giralucci – non dalle vostre anime che
continueranno a restare con noi, ma dai vostri feretri – e nell’abbracciare i vostri
familiari, io vi dico che queste non sono onoranze di Stato o di regime, ma vi dico
anche che esse non sono neppure onoranze di partito. Sono qualche cosa di più alto
e di più solenne: sono le onoranze di una comunità umana, di una comunità civile,
religiosa e nazionale che si stringe accanto a voi. Voi siete le vittime dell’odio e non
soltanto dell’odio delle Brigate rosse. Siete le vittime dell’odio che trasuda dai muri di
tutta Italia, coperti da scritte vili e ingiuriose contro questa comunità umana. Voi siete
le vittime dell’odio diffuso, seminato dalla televisione di Stato, dalla radio di Stato,
dalla stampa di Stato e di regime; voi siete le vittime dell’odio che nei giorni scorsi ha
devastato, incendiato, insanguinato 40 sedi del Msi-Dn. Voi siete le vittime dell’odio
espresso, manifestato, orchestrato da parte di gente che ritiene di imprigionare
questa comunità nella spirale della vendetta, o nella spirale della rassegnazione.
Ebbene, io vi dico, prendendo commiato da voi, e lo dico nel nome di tutta questa
comunità umana, civile, religiosa e nazionale, che come dinanzi al feretro di Ugo
Venturini, dinanzi al feretro di Carlo Falvella, dinanzi ai feretri di Virgilio e Stefano
Mattei, dinanzi al feretro di Giuseppe Santostefano, noi non abbiamo pronunciato né
la parola “vendetta”, né la parola “rassegnazione”, così, in questo caso, noi non
pronunciamo né la parola vendetta né la parola rassegnazione. Noi siamo una
comunità umana assetata di verità, ansiosa di giustizia, armata di coraggio; è in questi
segni che noi continueremo a combattere nell’alto, nobile, pulito auspicio che questo
vostro sacrificio di sangue impegni gli Italiani degni di tale nome a continuare allo
scoperto, come noi facciamo, a combattere per la verità, per la giustizia, per un
ritrovato coraggio. Adesso sull’attenti, in silenzio, senza gesti, senza saluti, senza riti
accompagneremo verso la ultima dimora Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci
ancora una volta abbracciando i loro familiari. Sia questo nostro silenzio, questa
nostra capacità di vigile silenzio, conforto dei buoni Italiani e monito per gli incivili.
Italiani: Attenti!”.
Come si vede, parole nobili e responsabili da parte di un capo politico su cui gravava
la responsabilità di mantenere i nervi saldi e di non gettare i giovani nella spirale della
violenza e della vendetta. Ma anche un chiaro e forte atto di accusa nei confronti del
“sistema” e dell’odio antifascista. Bisognerà aspettare decenni per l’apposizione di
una lapide commemorativa e per vedere la presenza delle istituzioni nelle cerimonie
ufficiali. La vicenda processuale si concluderà soltanto nel 1992. La corte di Cassazione
conferma le condanne date in appello, condanne tutt’altro che “esemplari”. Oltre a
quattro componenti del commando omicida: Roberto Ognibene esecutore materiale,
Susanna Ronconi, Giorgio Semeria, Martino Serafini (il quinto componente del
commando ed esecutore materiale, Fabrizio Pelli, deceduto in carcere di leucemia l’8
agosto 1979), viene condannato anche il vertice delle Brigate rosse: Renato Curcio,
Mario Moretti, Alberto Franceschini. Questa la testimonianza di Bruna Giralucci
riportata nel libro di Luca Telese “Cuori neri”: “Della pena mi è importato, ma
relativamente. Erano già tutti liberi, fuori dal carcere. Ma la condanna no, quella era
essenziale. Nessuno doveva potermi privare del diritto di chiamarli con il loro nome:
Assassini!”.
Vogliamo concludere queste note con un aneddoto che merita di essere ricordato e
di cui nessuno fu a conoscenza fino alla morte di Giorgio Almirante. La testimonianza
è di Donna assunta Almirante: “Giorgio non dava valore al denaro, ma il giorno in cui
morì, cercando qualcosa nei suoi cassetti, scoprii una cosa che mi colpì molto: per
ventiquattro anni, di tasca sua, aveva erogato un bonifico alle due famiglie di Padova.
A torto o a ragione, lo considerava un suo debito d’onore, lo aveva saldato a modo
suo, e non lo aveva detto a nessuno”.

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