Nuova Yalta senza Europa

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di Roberto Bevilacqua

Il recente incontro di Ferragosto ad Anchorage ha sancito la bozza di definizione delle rispettive sfere di influenza fra Russia e USA, proprio come nella Conferenza di Yalta del 1944, che stavolta in Crimea non poteva svolgersi per evidenti motivi, ma senza attori europei, il cui peso politico sembra essere drasticamente scemato da allora poiché, come disse Henry Kissinger, l’Europa non ha un “numero di telefono unico da chiamare”, nonostante la UE, gigante economico ma nano politico e militare, con o senza Gran Bretagna. Infatti, dalle dichiarazioni ufficiali in conferenza stampa di Putin prima e Trump in seguito, si è avvertita la sensazione che i conflitti Russo-Ucraino e Israelo-Palestinese in corso siano per loro questioni marginali, come la mai sopita disputa India-Pakistan o tante altre guerre non dichiarate e non meno cruente nel resto del mondo, specie in Africa centrale, ma dimenticate dai “media”, ridotte in sostanza a contese “regionali”. Ciò che interessa di più ai due è la spartizione di ricchezze e mercati nell’intero globo, nello specifico dell’Artico con le ingenti risorse dei fondali marini e dintorni ricchi di risorse minerarie, quali Groenlandia, Islanda, isole Svalbard e altriterritoriartici, il cui sfruttamentospetterebbeagli USA, con il contestualericonoscimento di appartenenzaalla Russiadelleisoledette Terra di Francesco Giuseppe e la piattaformacontinentaleartica, nonché la libera navigazione attraverso le rotte artiche per il commercio americano. In tale contesto, come accaduto pochi giorni fa con l’accordo di pace firmato alla Casa Bianca, dopo quasi 40 anni di conflitto, tra Azerbaijan e Armenia, con conseguenti accordi commerciali, energetici e tecnologici con gli USA, le cui aziende private dovrebbero realizzare le infrastrutture nel nuovo corridoio in territorio armeno, fra cui una linea ferroviaria, un oleodotto e un gasdotto, la fine delle ostilità in Ucraina sarebbe comunque un ulteriore successo diplomatico di Donald Trump, riabilitando al contempo Vladimir Putin agli occhi occidentali e legittimando accordi commerciali e altro tra Washington e Mosca. L’Europa e la cosiddetta Coalizione dei Volenterosi, condita da ipocrisie e invidie, sono costrette ad assistere impotenti alle vere trattative, illudendosi, specialmente Francia, Germania e Regno Unito, di poter influire o contare qualcosa nelle medesime, ma dovendo alla fine recarsi negli USA solo per essere al massimo informati o prendere ordini, come si sa che, a suo tempo, anche Giorgia Meloni ebbe la benedizione di Washington per ambire alla Presidenza del Consiglio in Italia. Del resto, continuare a fornire armi e denaro (dei contribuenti europei) a Kiev significa solo allungarne dolosamente l’agonia e aumentarne la distruzione, nella prospettiva (o illusione) di mettere le mani sugli appalti delle ingenti opere di ricostruzione che saranno necessarie. In tal senso, la riunione di oggi alla Casa Bianca con i partner europei avrà poca o nessuna influenza sui negoziati di pace e, indipendentemente dal fatto che si giunga in tempi brevi al ventilato incontro trilaterale Putin-Trump-Zelensky, quest’ultimo (o chi al suo posto per l’Ucraina…) alla fine, per porre termine alla guerra in corso, sarà costretto a fare le stesse concessioni territoriali e di altro tipo che, se fatte tre anni fa, avrebbero risparmiato la vita di centinaia di migliaia fra militari e civili, nonché evitato la distruzione di gran parte delle infrastrutture del proprio paese.

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