Si lavora per vivere, non si vive per lavorare…

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di Francesco Cioffi

Iniziamo questo articolo, il cui titolo è esemplificativo, con dei ricordi e racconti di persone che spiegavano un’epoca che rispetto a quella di oggi sembrava un’epoca ricca, rispettosa ma alquanto lontana. Un operaio iniziava la sua giornata lavorativa con sorriso e la voglia di dare il massimo, ma questo periodo è terminato con la scelta, da parte di vari governi che si sono succeduti nel tempo, di emettere leggi con imposizioni non scelte certamente da operai.

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la deve esercitare sulle forme della costituzione. Questo è l’articolo numero 1° della Costituzione, ma al giorno d’oggi è stato accantonato, mentre nel 1970 fú confermata la norma sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori sia quella sindacale che del collocamento lavorativo.

L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori è un articolo della legge del 20 maggio, che permette ai lavoratori dipendenti di non essere licenziati in caso di illegittima giustificazione, con rientro lavorativo e risarcimento economico, ma nel 2015 tutto è stato abolito con l’entrata del Jobs Act. L’intento era quello di ridurre o almeno limitare la disoccupazione ma il problema sorge sui lavoratori precari (somministrati).

Un contratto di somministrazione durava al massimo 12 mesi poi se l’azienda lavoratrice aveva.  Bisogno di partiva con un contratto con tempo indeterminato, ma anche con l’entrata del decreto dignità. Il decreto nato per disporre un termine al contratto determinato, 24 mesi per un massimo di 4 contratti. Le aziende hanno raggirato questo decreto grazie alle agenzie interinali dopo 15 giorni con l’altra agenzia e ricominciare altri 24 mesi di calvario, sempre con la preoccupazione di un fermo lavorativo. Dopo alcuni controlli su aziende con un esubero di somministrati, in legge non si dovrebbe superare il 25% i titolari assumono un atteggiamento più autoritario contratti leasing misto o diretto con scadenza illimitata (tempo indeterminato). Questi contratti permettono di essere a tempo indeterminato con il datore di lavoro, ma tempo determinato con l’azienda utilizzatrice, ma il tutto non è a tempo indeterminato perché ci sono delle clausole che il lavoratore firma ma non può ribattere, cioè se finisce la durata lavorativa con l’azienda circa per 6 mesi, se in questo periodo non riesce a trovare altre collocazioni può tranquillamente chiudere il contratto e licenziare.

Il lavoratore si trova in una situazione molto, sia lavorativa che economica perché in questi 6 in mesi non percepisce assegni familiari, non viene pagata malattia, non accumula ferie, par e ROL, tredicesima e nemmeno TFR maturato con l’azienda utilizzatrice, si trova in una transizione chiamata “periodo di disponibilità “.

Esistono tante sigle sindacali, ma un somministrato, nelle aziende utilizzatrici non può far parte, anche se la NIDIL (nuova identità di lavoro) categoria della CGIL rappresenta e tutela i lavoratori interinali.

Nella vita reale un somministrato lavora con la paura di non essere riassunto dopo fine missione, subisce i peggiori trattamenti.

Per l’industria è solo un numero che deve obbligatoriamente produrre di più del normale operaio indeterminato, se non può oppure non riesce è fuori, ma il problema non si ferma qui perché il somministrato è anche sottomesso lavorativamente da un diretto.

Sono visti come la rovina della fabbrica, quando poi se non esistessero andrebbe tutto a malora. In poche parole i somministrati sono una categoria di lavoratori non protetti né dalle industrie, ma soprattutto non protette dallo stato. Speriamo che si possa ritornare ai periodi d’oro, in una situazione nella quale un operaio lavori con tranquillità, senza costrizioni e non sia invece costretto a vivere per lavorare con la negazione di non potersi creare un futuro.

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